Diari & Pensieri
di una bionda

In questa sezione esprimo ciò che sono, come vedo il prossimo, come vedo il mondo e alcuni espisodi che mi hanno segnata.

A voi il giudizio. Non cercate l´onestà o l´obiettività in quello che scrivo e men che meno una qualsiasi verità: non sono né onesta né obiettiva.

Mi danno spesso della stronza opportunista e la maggior parte delle volte hanno ragione.

Non esiste verità, esiste il nostro punto di vista ed il modo in cui pieghiamo ciò che ci circonda per renderlo accettabile e giustificare le nostre azioni.

Doreah


♥ RITRATTI ♥
In ordine di tempo e di apparizione nella mia vita, ecco alcuni personaggi che sono stati o sono importanti per me ne bene e nel male. Questi "ritratti" non hanno pretesa di imparzialità e tantomeno di obiettività. Se vi sentite offesi, lusingati o non vi ritrovate in quello che scrivo di voi, non me ne può fregare di meno.
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Zahir Salazar Una delle prime persone incontrate, mio malgrado, al mio arrivo a Winterguard, presso la Barriera. Arrivai esausta per il lungo viaggio e la lunga fuga dal campo fortificato sulla costa ovest, poco a sud della Torre delle Ombre, nel quale avevo trascorso quasi un anno e mezzo prigioniera delle Piovre. Arrivai come un animale braccato, una bestiola ferita e sulla difensiva. Feci qualcosa di assolutamente innocuo, come fermarmi a osservare il modo in cui i Guardiani di lord Blackhaven gestirono una sommossa. Mi videro e qualcosa fece loro pensare che fossi una spia. Forse c´entrava qualcosa il fatto che mi fossi fermata a raccogliere il pugnale di uno sfigato tramorito durante i disordini. O forse fu il mio spiccato accento occidentale con chiare inflessioni delle Isole di Ferro, ad attirarmi le attenzioni dei Guardiani.
Resta il fatto che finii in gattabuia. Poteva andarmi peggio, in quell´anno e mezzo trascorso da ospite degli isolani avevo sopportato e subito ben altro. La mia sfortuna si chiamò Zahir Salazar, un omuncolo dorniano che lavorava come consigliere del Lord e che si mise in testa di farmi "cantare" mentre ero prigioniera. L´idiota era convinto che con adeguate pressioni psicologiche sarei crollata: era una di quelle persone con una smodata e sproporzionata autostima, convinti di essere in possesso di un intelletto superiore e che il mondo intero sia pronto a farsi piegare ad angolo retto dalla loro intelligenza superiore e farsi inculare senza agitarsi troppo.
Ne so qualcosa di cosa sia la tortura. Il coglione pensò di farmi crollare tenendomi a pane ed acqua salata. L´idea era che il sale con cui correggeva le mie bevande mi avrebbe spinta sull´orlo della disidratazione e mi avrebbe spinta a leccargli gli stivali, implorare acqua fresca e, ovvviamente, a raccontargli qualunque cazzata volesse sentirsi dire da me.
Forse avrebbe anche funzionato. Ma per mia fortuna commise un errore. da buon dorniano, abituato al sole che spacca la testa e frigge il cervello, non pensò di far chiudere la finestrella alta che mi permetteva, arrampicandomi sulla branda, di vedere l´esterno. la mia visuale, quando riuscivo a malapena a raggiungere le sbarre della finestrella, era limitata al terreno del piazzale d´armi della fortezza. Ma bastava ed avanzava. Perché il coglione non aveva tenuto conto della neve. Neve sporca, il più delle volte, ma quando riuscivo a raggiungerla e a prenderne una manciata per me era come succhiare nettare degli dei.
Fui fortunata per due motivi. Salazar fu allontanato, o più probabilmente partì e non fece ritorno. Non ho mai saputo cosa ne sia stato di lui. Ma sono lieta che non sia rimasto a Winterguard. Quando si decisero a farmi uscire, ero talmente incazzata che avrei sicuramente cercato di prendermi la rivincita sul verme dorniano. Ad esempio mostrandogli come si può usare l´acqua per torturare una persona. E quasi certamente sarei finita dritta dritta con la testa sul ceppo del boia. O meglio, di Blackhaven. Perché del Lord si può dire tutto, compreso l´aver preso un coglione come consigliere, ma le esecuzioni le fa lui.

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Uder Malcarin Non fu solo grazie alla mia furbizia felina, che sopravvissi e non mi piegai alle pressioni di Salzar. Fui, in qualche modo, aiutata. Per modo di dire. Essere aiutata, significava che ogni tanto un guardiano si premurava di avvicinare un po´ di neve al bordo della finestrella della mia cella, se si accorgeva che non ce ne era abbastanza per dissetarsi o che era troppo sporca. E, qualche volta, mi portava sul piazzale a sgranchire le gambe. Detestavo essere trattata come un cagnolino al guinzaglio, ma era sempre meglio che trascorrere giorno e notte in una cella puzzolente e angusta.
Quando fui rilasciata, Malcarin occasionalmente venne a trovarmi alla Talpa. A dispetto di quello che raccontano gli imbecilli, non ho mai aperto le gambe per lui. Non che l´idea non mi avesse sfiorata. Mi chiedevo perchè fosse stato così "gentile" nei miei confronti. Davo per scontato che, una volta libera, avrei dovuto pagare pegno, in qualche modo. E non avendo un soldo, ero convinta di sapere anche in che modo avrei pagato il mio debito. Evidentemente non lo conoscevo. Non so se lui ci pensò davvero: io non fui mai esplicita nelle mie offerte, lui non fu mai esplicito nel rifiutarle, benchè gli avessi lasciato intendere gli sarebbe bastato allungare la mano e non avrei rifiutato di pagare. Credo che sapesse di non piacermi. Un orso, grosso abbastanza da sfondarti le costole se si fosse messo sopra, e abbastanza peloso da ridurmi come una pagnotta grattuggiata. E poi era, sopra tutto, un Mantello Nero. Li odiavo. E sapevo, dalle chiacchiere di altra gente del giro della Fortezza, che era uno dei più duri.
Il sollievo dei suoi rifiuti indiretti non basta a cancellare, vista con gli occhi di oggi, l´umiliazione di quella silenziosa offerta. Quando tornò dalla prigionia, solo sentirlo nominare mi mise in difficoltà. Keith se ne accorse e anche se quell´offerta non fu mai raccolta, essa era come un´ombra di imbarazzo stesa fra noi. Rimpiango solo di non avergli mai chiesto perché. Non perché non abbia preso quello che poteva. Perché mi abbia trattata come un essere umano. Credo di averlo capito solo dopo che anch´io mi sono trovata quel mantello nero sulle spalle.

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Daesee Reyne Conobbi la prima volta Daesee alla Talpa, durante il periodo in cui mi ero stabilita lì dopo essere stata rilasciata. Come fosse riuscita a farsi "esiliare" alla Talpa, una come lei, é qualcosa che ancora mi sfugge. Quando arrivò pensai, e lo pensarono anche altri, che fosse una spia inviata alla talpa dalla Fortezza. Più o meno era la verità. Ma mai si era vista una spia più improbabile, soprattutto considerando quello che i Mantelli Neri le avevano imposto come ruolo di copertura: fingersi una puttana.
Lei. Capii subito che qualcosa non quadrava e che, se pure, Daesee era stata inviata per tenere sotto controllo la zona più malfamata in un raggio di centinaia di miglia dal Castello Nero, doveva aver subito la cosa.
Forse mi lascia intenerire dalle sue origini occidentali. Sentire la fluente parlata dell´Ovest, all´ombra della Barriera, riusciva a toccare qualcosa nelle mie corde, anche se mai lo avrei ammesso apertamente. Entrammo facilmente in confindenza, quando dopo soli tre giorni, si trovò disperata per la missione affidatale ed evidentemente al di là delle sue forze. Povera creatura. Se avesse dovuto guadagnarsi da vivere in quel modo sarebbe morta di fame. Feci il possibile per aiutarla. Mi accollai io stessa alcuni dei suoi clienti. La fregatura é che pagavano me la stessa cifra che avrebbero pagato per lei: una miseria. La poverina, oltre a non essere tagliata per quel mestiere, si aspettava di essere corteggiata, oltre che pagata per aprire le gambe. Una cosa l´ho imparata subito: in quelle circostanze gli uomini vogliono la finzione del rapporto amoroso e silenzio. Nulla che gli ricordi il modo in cui sono lì a pagare per un´ora di piacere o di calore. Ricordargli che pagare é l´unico modo per ottenere ciò che cercano, chiedendo loro di corteggiarti, é l´errore peggiore che si possa fare.
Per farla breve, io mi accollai del lavoro extra. Lei, in cambio, teneva ordinata casa mia e si occupava di spendere per entrambe quello che la nostra bizzarra "società" guadagnava.
Per sua e per mia fortuna la cosa non durò molto. Un altro mantello nero, Jason Dorryn, le mise gli occhi addosso. E anche un paio di manette. La cretina si innamorò di lui. Mi chiese qualche "ripetizione". Feci del mio meglio, anche nel metterla in guardia. E non ascoltò nemmeno i miei suggerimenti su un paio di giochetti interessanti che avrebbe potuto fare col guardiano, una volta messo in manette su un letto. E la persi di vista: lei tornò al suo mondo rispettabile, io rimasi alla Talpa.
Molto tempo dopo, quando fu il momento di trasferirsi a Grande Inverno, rimasi sorpresa davanti alla richiesta di Daesee di accompagnarla e farle da aiutante con la conceria. Credo che quasi piansi. Non avrei mai immaginato che si sarebbe ricordata di me. Chi frequenta certi giri, come faceva lei, tende a scordarsi delle persone come me (come ero allora) dopo averle usate. Accettai, ovviamente, perché mi veniva offerto un futuro relativamente sicuro. feci l´esodo con lei, quasi sempre nascosta nel suo carro coperto, ad imparare come tagliare e cucire il cuoio, colorarlo, ornarlo con i ferri arroventati. Grazie a lei diventai una conciatrice e potei preoccuparmi del prossimo uomo da far entrare nel mio letto solo quando avevo voglia di svago.
La sua morte, a Grande inverno, mi ha toccata in un modo che non oso sondare fino in fondo. Non ho mai indugiato in pensieri assurdi come il considerarci sorelle, né potevo dire di stimarla: non avremmo potuto essere più diverse e, lei stessa, non avrebbe potuto essere più lontana dal minimo di scaltrezza sindacale che ci si attende da una donna dell´ovest. Ma credo sia stata la cosa più vicina ad una amicizia che io avessi mai sperimentato fino ad allora.

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Meg Blackcliff Detta "Il Mastino". Ho scoperto molto presto, a mie spese, e a spese di quelli su cui l'ho vista scagliarsi, come mai la chiamino così. Ricordo di averla vista spesso, su a Winterguard. E' sempre stata in alto, nelle gerarchie. E alla Talpa si diceva che si sbattesse il Lord e anche mezzo Stato Maggiore dei Guardiani, per aver raggiunto la carica di potere che occupa. Dopo averla conosciuta, mi sono resa conto che non importa chi si sia sbattuta. Sta dove sta perché se lo merita.
Questo ovviamente non l'avrei mai detto né pensato, quando vivevo la mia vita nascosta alla Talpa. Era un Mantello Nero, come tutti gli altri. Di conseguenza incolpavo anche lei del trattamento subito nelle celle del Castello Nero. E quindi, come ogni esponente dei Guardiani, cercavo di tenermi più alla larga possibile, specie dopo aver saputo che era lei l'artefice della decisione di inviare Daesee alla Talpa chiedendole di fingersi una prostituta. Lo stesso feci durante l'Esodo e nel primo periodo dopo l'arrivo a Grande Inverno.
Illusa, ignoravo che i Guardiani tenessero una specie di fascicolo su di me. Dubito che sappiano proprio tutto, di quello che combinai dal giorno della mia liberazione, ma una buona parte certamente sì. Meg Blackcliff entrò un giorno nella bottega. Lo ricordo come se fosse oggi. Io stavo rifinendo una giacca di pelliccia e quando la vidi stagliata controluce sulla soglia, pensai che la pacchie era finita, e che sarei finita di nuovo in gattabuia. O peggio.
Invece mi fece una proposta che mi sbalordì. Mi raccontò dei Blackbird, un argomento che merita un capitolo a parte nei miei diari. Mi fece capire abbastanza chiaramente che per me era tempo di scegliere: I Blackbird, e la "accidentale" distruzione del fascicolo con tutte le mie malefatte, oppure la consegna del fascicolo suddetto a Wisewolf e i suoi scope-in-culo di Icebirds, i giannizzeri incaricati dell'ordine pubblico e della repressione dei crimini comuni.
Fosse stato solo per la minaccia, credo che avrei accettato e, alla prima occasione, sarei fuggita. Ma la sua proposta mi incuriosì, perchè lasciava intendere che il Mastino trovasse interessanti, ed utili, certe mie capacità. Non era, insomma, un semplice ricatto "Lavora per noi o pagane le conseguenze!". Quando le dissi di sì, il mio destino fu segnato. Non amo le espressioni poetiche, ma non posso fare a meno di pensare che quel "sì", sia stato una pietra miliare per me.
Il seguito é stato un crescendo stranissimo. I rapporti tra superiore e subordinata sono rigidi, anche nei gruppi apparentemente più paritetici. C'é sempre qualcuno che ha il potere di dirti "Vai. E se muori, pazienza. Andremo avanti anche senza di te".
Questo fa tutta la differenza possibile nel definire un rapporto tra due persone. Può essere più o meno dìostacolo alla creazione di fiducia, amicizia o del legame di sorellanza d'armi che dopo un po' sorge tra chi condivide il rischio di morire. Ma é un elemento sempre presente e che fa da stella polare per qualunque altra sfumatura.
I Guardiani possono chiacchierare quanto vogliono sulla fratellanza, ma l'esercizio del comando é una realtà che non ammette compromessi o deviazioni: é il potere di vita e di morte. Credo che se non fosse stato per questo, avrei potuto davvero sentire Meg come una amica. O una sorella maggiore. Non potendo, ho imparato a considerarla con un misto di cautela, stima profonda e sacro terrore (le volte in cui ho avuto ragione di temere che scoprisse certe mie attività).
Stima, prima di tutto: nonostante tutte le nostre differenze non credo di riuscire a immaginare una comandante migliore di lei. Credo che fondamentalmente sulle necessità del nostro "lavoro" ci siamo sempre, e da subito, capite al volo, senza necessità di lunghe spiegazioni ed introduzioni; non sorellanza, o amicizia, ma complicità é quello che ho imparato a provare nei suoi confronti. Nonostante tutte le punizioni che ho preso da lei, a causa della mia lingua lunga.
E ci sono anche altri aspetti che, credo di averlo capito, rappresentano una sorta di ostacolo: lei é una di qui. Io sono una dell'ovest. E per quanto possa sforzarmi (e non é che io mi sforzi molto) di capire e di guardare al Nord con gli stessi occhi, lei ha gli occhi di una che ha sempre guardato al mondo dalla cima della Barriera. Quando Meg mi ha portata in cima alla Barriera, ho intravisto qualcosa di quello che lei deve aver sopportato e vissuto, dentro di sè e con quelli che chiama fratelli, per tutta la vita. Il mio é stato solo un pallido riflesso di quel ghiaccio eterno. Non avrò mai, temo, la Barriera negli occhi, come lei. E non so neanche se lo vorrei davvero. Ma da quel momento ho iniziato anch'io, se non altro, a provare a guardare al mondo in modo diverso. E' il regalo più grande e, al tempo stesso, la peggior inculata che il Mastino mi abbia mai rifilato.

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Keith McGrannit Detto e conosciuto universalmente come "Il Distillatore". L'incontro con Keith é avvenuto pochi giorni dopo il mio ingresso nei Blackbird. Erano i giorni in cui Grande Inverno aveva occupato il Borgo Azzurro. Io e Ago (Dalyla Christensen) stavamo facendo la guardia all'esterno dell'abitato, lungo un tratto di fiume che andava costantemente sorvegliato contro le scorrerie dei mercenari al soldo dei Bolton.
Keith sbucò dai cespugli, pacco in mano e brache aperte. Sì, proprio così. Io... beh, insomma, credo di avere una certa confidenza e conoscenza empirica dell'utensile. Ma credo di essere rimasta a bocca aperta. Vorrei dire che sono rimasta a bocca aperta per il sorriso da figlio di buona donna, l'aria ammiccante, una indefinita aria da uomo vissuto che Keith ci mostrò appena si rese conto di essere finito bel bello in mezzo a noi, ma sarei una ipocrita. Beh, ai sette inferi, anche quello. Non so se Keith abbia mai realmente capito il rischio che corse uscendo così di colpo dai cespugli. Si risparmiò però una sonora manica di botte e il trovarsi incaprettato e imprigionato.
Così Keith entrò nella mia vita. Fummo presto costretti a lasciare il Borgo Azzurro, sotto la pressione degli eventi. In quell'occasione ho toccato con mano per la prima volta la bassezza che i Bolton possono raggiungere, con la scoperta dei cumuli di cadaveri che lasciavano intenzionalmente nelle foreste, nella speranza che un Estraneo li trasformasse in non-morti per mettere in difficoltà noi. Scoprii presto che Keith era originario proprio delle terre dei Bolton.
Sulle prime mi fu chiesto dal Mastino, con molta discrezione, di tenerlo d'occhio. Uno di quei tanti ordini impliciti e non necessitanti di spiegazioni: piena libertà di scelta sulle modalità e la distanza dalla quale "tenerlo d'occhio", e se avessi ravvisato il rischio che Keith fosse una spia, sapevo già cosa avrei dovuto fare, senza che il Mastino dovesse darmi ulteriori istruzioni.
Keith fu da subito un enigma ed una sfida quale non affrontavo da tempo. Detesto ammettere che se fosse stato davvero una spia dei Bolton, molto probabilmente ci sarei cascata con tutti e due i piedi. L'avvicinamento tra noi fu una danza continua, dentro e fuori (in tutti i sensi) la misura d'ingaggio, passo e contropasso, tempo e controtempo. Ci trovammo legati nel nostro gioco di provocazioni ben oltre il livello entro il quale dovrebbe mantenersi una agente che sorveglia una potenziale "risorsa" prima di decidere se usarla o eliminarla. Andò bene. Per quanto stordita dal nostro reciproco gioco, credo che mi sarei accorta se mi avesse mentito. E così lui.
Non é stata sempre rose e fiori. Come tanti "matrimoni di guerra" anche il nostro si é consumato su un letto di spade ed ha avuto bisogno di qualche occasionale battaglia. La fiducia per chi fa il mio mestiere é quasi l'equivalente di una bestemmia. E ce ne vuole a disimparare certe abitudini e certe cautele, anche quando scopri, incredula, che non sono più necessarie. E credo che lo stesso sia stato per lui, anche se per motivi molto diversi dai miei. Non é un qualunque "idealista nordico" fatto con lo stampino. Le cose in cui crede non te le spiattella in faccia come se fossero una lezione da apprendere. Te le suggerisce con quello che fa. E non teme di sporcarsi le mani quando deve fare ciò che è necessario. E poi tu scopri, di colpo, che sono le stesse cose per cui tu combatti, anche se non le hai mai messe per iscritto e non le hai mai espresse in una forma che possa essere spiegata ad altri per impressionarli o che possa essere cantata sotto forma di imperativi morali.
Sogno, nei miei peggiori incubi, le sue spalle che si allontanano. Lui che riprende a camminare senza voltarsi, verso un'altra meta, lasciandomi indietro. E in quei momenti ho più paura di quanta ne abbia mai avuta anche davanti a una spada puntata contro di me o davanti a un essere mostruoso tornato dalla morte. Con l'idea di poter morire ogni volta che esci in missione puoi imparare a conviverci. Con l'idea della solitudine, dopo aver sperimentato la felicità, no.

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Doreah Tallcydar é un personaggio virtuale completamente inventato e parte del gioco di ruolo online ASOIAF - IL GRANDE INVERNO. Si ringraziano gli autori di Battlestar Galactica per il personaggio Caprica Six (interpretato dall'attrice Tricia Helfer), al quale Doreah é parzialmente ispirata. Ulteriore fonte di ispirazione è il personaggio Cara Mason della saga La Spada della Verità di Terry Goodkind.